dilluns, 30 de març del 2009

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"L'Unità", edició del 29/03/2009
«Welcome to Tijuana». A Manu Chao per un po’ verrà il mal di stomaco quando la dovrà cantare. Già, perché lui in Messico, non è più il benvenuto. Il celebre musicista, da sempre impegnato in battaglie politiche e sociali, al presidente Fox non va giù. Soprattutto dopo che ha chiamato «terrorismo di Stato» la feroce repressione di alcune manifestazioni di tre anni fa.

Il 18 febbraio scorso, una sentenza della Corte suprema messicana ha stabilito che in quei giorni di maggio del 2006 la polizia messicana compì «gravi violazioni» dei diritti umani. Successe a San Salvador di Atenco quando a seguito di una manifestazione, gli scontri con le forze dell’ordine lasciarono sul campo due morti, oltre 200 feriti, e violenze sessuali sulle donne arrestate.

Dopo questa sentenza a Manu Chao, che da anni lotta insieme a molti altri artisti, scrittori, giornalisti perché venga fatta giustizia sulla vicenda di Atenco, mentre si trovava ad un festival Guadalajara, era venuto normale parlare di «terrorismo di Stato», annunciando anche «molte iniziative per porre fine all’ingiustizia e perché si capisca quello che è successo ad Atenco».

Per il governo Fox, però, si tratta di «intromissioni nella politica nazionale»: l’articolo 33 della Costituzione messicana, infatti, prevede che «gli stranieri non possono in alcuna maniera immischiarsi nelle decisioni politiche del Paese» e che il governo «ha il potere esclusivo di decidere l’allontanamento dal territorio nazionale». Per questo, il cantautore francese è stato immediatamente messo sotto inchiesta, anche se la Segreteria del Governo nega che ci sia la possibilità di espulsione.

Per la vicenda di Atenco, sono ancora in carcere 13 persone, con pene che vanno dai 31 anni fino ai 162. Proprio oggi Manu Chao avrebbe dovuto partecipare ad un’assemblea convocata dalla Campagna Libertà e Giustizia per Atenco. La repressione del 2006, infatti, nasceva da lontano: il Fronte popolare per la difesa della Terra, l’Fpdt, è attivo dal 2001, da quando il governo Fox aveva deciso di espropriare i terreni ai contadini, pagandoli un nulla, per costruirci il nuovo aeroporto di Città del Messico. Da allora, centinaia di abitanti si sono opposti all’esproprio: uno di loro, Enrique Espinosa Juárez, per difendere la sua terra è stato perfino assassinato.

Nel 2002 il governo ritira il decreto, ma l’Fpdt, ormai, è un punto di riferimento per i messicani vittime di ingiustizie. È così che nel 2006 il Fronte appoggia la battaglia di alcuni venditori di fiori che reclamavano il loro diritto a lavorare in un mercato che invece avrebbe dovuto trasformarsi in un centro commerciale. Più di duemila agenti parteciparono a quella che resterà una delle pagine più sanguinose della storia recente messicana. Ad Atenco, oltre alle violenze, agli stupri, ai fermi, morì Francisco Javier Cortés Santiago, 14 anni di età. Ma guai a chiamarlo «terrorismo di Stato».

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